Berlino, novembre 1989
Un bambino della Germania dell’Est vede cadere davanti ai propri occhi il muro che divide la città, lo stesso giorno in cui assisterà alla caduta della propria famiglia.
Costanza, febbraio 1994
Un intero quartiere viene dato alle fiamme. Un uomo ha dato vita alla propria vendetta uccidendo ogni singola persona, tranne una. La colonna di fumo nero si staglia su di un cielo azzurro mentre gli occhi chiari di una bambina piangono lacrime inconsolabili.
Berlino, oggi.
Un fucile di precisione, il tetto di un palazzo, una falce di luna che galleggia nel cielo scuro. E’ notte e fa freddo. Dikran Petrosyan, per tutti Eis, è un sicario, è la mano stessa della morte e non sbaglia mai. Ma ciò che Dikran non sa è che è un uomo braccato. Qualcuno vuole la sua vita, lo stesso qualcuno che vuole vendetta.
Una partita a carte giocata con la morte stessa. Nessun amico, solo nemici e due anime perse che si incontrano tra un passato e un presente che si mescolano in un unico destino.
Può un uomo solo rovesciare le sorti dell’intera Europa? Può il desiderio di vendetta essere superiore a quello dell’amore?
Ho letto Memento d’un fiato, non avrei mai interrotto la lettura. L’alba e la nebbiolina umida della città mi hanno accompagnata alla parola fine.
E’ una storia cupa, che ti artiglia e ti porta tra le pieghe oscure del dolore e della vendetta, che trascina la mente nel tentativo di ricomporre un puzzle intricato e complesso, che conduce lì dove nessuno vorrebbe finire: in un mondo di sopraffazione, violenza, sadismo. E denaro, vile, sporco, insanguinato. E potere, di vita, ma ancor più, di morte.
Il filo che lega i due protagonisti è un filo lungo e sporco, che parte dai vicoli e dai palazzi grigi di Berlino Est, dove il Muro è metafora di disfacimento, passa attraverso le fiamme e il dolore di un incendio catastrofico e mortale, e si nutre, si alimenta di odio e vendetta.
Personaggi oltre la linea, le cui mani e le cui menti sono inevitabilmente corrotte dal dolore e dall’odio, perché la vita non ha dato loro scampo.
L’aveva visto in faccia. Aveva scorto nei suoi occhi la schiera di diavoli che ballavano attorno al fuoco del Sabba, lì in mezzo ai cadaveri, tra sangue e morte e di quella luce orrenda e bellissima si era incautamente infatuata. Ridacchiò appena, portandosi un dito sul labbro inferiore. Infatuata…
Possono due anime che non conoscono altro che violenza e morte, riconoscere l’amore?
Ebbene forse sì, o forse no, ma se quel che ho letto non è amore, l’amore non so davvero cosa possa essere.
Deviato, folle, muto, insanguinato e terribile, ma assolutamente amore:
Non era preoccupato per la vita di quella donna, non era preoccupato neppure per la propria, lo era per quel filo di lana grezzo che sentiva tenerli uniti in un punto imprecisato tra lo sterno e lo stomaco. Aveva il timore che avrebbe potuto spezzarsi.
Aveva il timore che quel chiodo piantato nell’osso sul cui capo era annodato il filo, potesse staccarsi.
Tutto questo li porterà a fidarsi l’uno dell’altra, una fiducia affatto scontata né facile da concedere, poiché a nessuno dei due è mai stata concessa pietà. Ma che valore assoluto e fragile ha, riconoscere negli occhi di qualcun altro il proprio dolore… Condividere, nonostante silenzio e solitudine. Quella solitudine che ti riverbera nei pensieri, che ti taglia in due, lama arrugginita e sporca, maligna e compiaciuta.
Un romanzo travolgente, oscuro, scritto con mano di Fata e respiro del Diavolo.
Assolutamente consigliato .
Editing a cura di:
Ho appena ultimato la lettura di Memento e sento l’esigenza, il bisogno immediato, di mettere nero su bianco le mie considerazioni. Inutile attendere, inutile ogni tentativo di prendere le distanze, tanto già so che su questa storia continuerò a rimuginare per giorni e che in un momento di totale relax o in uno in cui sarò indaffarata col corpo e non con la mente, immagini invadenti di aquile e grifoni spingeranno per farsi largo, nell’urgenza di scomporre e ricomporre il grande puzzle che le pagine di questo libro rappresentano. Un puzzle di cui ora ho tra le mani tutte le tessere, fornite dall’autrice in maniera così graduale da risultare quasi frustrante, mediante salti nel passato che a un primo impatto appaiono sconnessi dal resto e ti accorgi che così non è, solo quando ti vengono offerte le tessere di congiunzione. E mediante l’alternarsi dei punti di vista e dei tempi della narrazione all’interno di questi: quando vi troverete a passare dalla prima persona del presente alla terza del passato, potrete provare inizialmente un senso di sbandamento, ma andando avanti capirete che anche questo ha un suo significato che travalica la semplice scelta stilistica.
Ma vengo alla storia narrata in questo romanzo, che come genere potremmo inquadrare nel thriller d’azione. Ciò che subito salta all’occhio sono le tinte fosche, oscure, cupe, pesanti che caratterizzano buona parte del libro. Dikran è un killer, un assassino gelido, privo di sentimenti, che gli sono stati estirpati in giovanissima età, segue una sola regola, che è anche la sua unica debolezza: mai fare del male a donne e bambini. Qualcuno in alto nella gerarchia della malavita organizzata vuole la sua morte. Perché e soprattutto, chi è costui? Chi è Aquila Nera?
Imperia conosce l’identità di questo mostro, essendo colui che la tiene in pugno con la minaccia più malvagia che una donna possa subire ed essendo colui che si illude di possederla. Ma Imperia non appartiene a nessuno se non a se stessa e lo dimostrerà trasgredendo all’ordine di uccidere Dikran.
Due sicari – due anime macchiate, sporche in maniera irreversibile – uniti da un passato di violenze immani, subite e commesse, e dal desiderio di vendetta, unica spinta a rimanere in vita. Dovranno imparare a fidarsi l’uno dell’altro e a collaborare per riuscirci. Non sarà facile. La fiducia per due come loro è un lusso che non possono e non devono permettersi, impossibile poi da riporre nell’altra persona quando è evidente che questa stia nascondendo delle informazioni, informazioni che non è disposta a condividere.
«Chi è la ragazzina del collegio, Imperia? Che c’entra quella dannata statua con te? Chi ti ha tenuta prigioniera e perché?» incalza impietoso. «Perché hai sempre freddo? Perché la notte gridi? Perché senti il bisogno di ammazzarmi così come quello di stringerti a me in un letto?» infierisce. «Chi sei tu?» conclude imperioso. Le mie spalle cozzano contro il muro mentre i suoi occhi mi infilzano come due lame di ghiaccio affilate.
Le riserve che Dikran nutre nei confronti di Imperia sono giustificate, a maggior ragione dal fatto che, mentre il personaggio di lui si presenta come un monolite granitico, quello di lei è camaleontico. Come se in lei convivessero più personalità – la pazza psicopatica, la femme fatale, la ragazza fragile ma combattiva, che nel profondo del suo sguardo conserva ancora un certo grado di purezza – e Dikran non riesce a comprendere quale di queste personalità sia quella autentica e quali siano le maschere. La vicinanza lo porterà infine a capire che Imperia è tutto questo assieme, una guerriera forgiata nel dolore e negli abusi. Da quel momento il loro rapporto prende una piega diversa, pur rimanendo entrambi fedeli a se stessi, coerenti e fermi nei propositi, con in più l’introduzione di una nota di leggerezza, quando discutono o battibeccano minacciandosi reciprocamente di morte e con il lasciarsi andare in alcuni momenti a una attrazione che non è solo fisica, pur non dovendo attribuirgli alcun nome e alcuna importanza.
Sono nuda, distesa su un letto sfatto complice e scenario di una battaglia da poco terminata che non so proprio dove potrà portarci. Non siamo fatti per l’amore, noi, come non siamo fatti per le parole addolcite da un sentimento puro. Siamo morti che camminano, appesantiti da schiere di peccati che puntano le loro dita consunte contro le nostre figure ricurve, eppure nel clangore disumano di sensazioni contrastanti e desideri antichi, ci siamo presi, ma non amati. Abbiamo fatto dei nostri corpi le casse di risonanza di ciò che ancora di buono esiste dentro di noi e nell’assurdità dell’attimo, a modo nostro, abbiamo provato.
L’intreccio giallo è curato benissimo, fino alla fine non capirete chi sia il nemico da abbattere e per quale motivo voglia morto Dikran. Un solo appunto mi sento di fare e riguarda invece le scene d’azione: a causa anche dell’umorismo macabro con il quale i due personaggi principali iniziano a un certo punto a interagire tra loro, e che a onor del vero ho gustato con piacere, nelle scene violente d’azione la mia mente birichina continuava ad associare tali immagini a un famoso film americano con Brad Pitt e Angelina Jolie. Non me ne voglia l’autrice, che ritengo comunque essere stata straordinaria nella resa di questa storia, ma la mia testaccia dura partiva per la tangente e continuava a ripropormi flash-back da commedia pulp di Mr. e Mrs. Smith, nelle sparatorie, nel gesto di mettersi schiena contro schiena, nella loro manifesta invincibilità contro un numero spropositato di nemici. E tutto questo cozzava invariabilmente con le atmosfere in generale tetre e intense del romanzo.
Editing a cura di:
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