Tisbury, 1830. Chi è Capitan Swing, misterioso eroe che guida la rivolta dei contadini nelle campagne inglesi? Chiamato a riportare l’ordine in Wiltshire, il comandante Adam Cartwright non ha dubbi: Swing è nemico della legge, e come tale suo nemico…
Capitan Swing mantiene sempre le sue promesse. E quando giura a Rebecca Arlington che dopo la rivolta la porterà via con sé, ha tutte le intenzioni di farlo. Rebecca aspetta da anni quel momento, e niente e nessuno potrà impedirle di fuggire con lui… niente e nessuno, tranne il comandante dei dragoni arrivato a Tisbury proprio per arrestare il suo capitano.
L’odore della pioggia in una tempesta d’estate, quando ti sorprende all’aperto e le gocce ti sferzano, e i lampi ti cadono vicini. Non si riesce a respirare, in una tempesta. Il petto si chiude, la paura ti spinge a cercare riparo. Ma se hai il coraggio di fermarti sotto la pioggia e di inalare a pieni polmoni, l’odore che senti è quello, un misto di acqua, terra e fuoco. L’odore del pericolo.
Ho deciso di iniziare la recensione con questa citazione, per farvi comprendere due cose. In primo luogo, ci troviamo dinanzi a un libro scritto magistralmente; in questo romanzo ogni frase, ogni concetto, ogni pensiero sono descritto abilmente, sono pura poesia. Gli accadimenti non ci vengono semplicemente narrati, ci vengono illustrati in un modo così coinvolgente che è quasi impossibile non immaginarsi ogni singolo retroscena e fantasticare su come continua la storia. Avete presente gli artisti di strada che disegnano per terra con i gessetti colorati? All’inizio rimani incantata a guardare ogni particolare e ogni sfumatura, cerchi di capire quale sarà il risultato finale, ma è solo al termine, quando ormai non puoi fare altro che andare a via, che ti accorgi del capolavoro creato. In secondo luogo, è dal capitolo due che si comprende in che diavolo di pasticcio ci siamo cacciate, il pericolo che stiamo correndo con questo libro. Ho impiegato più tempo a “digerire” il romanzo che a leggerlo, perché il Capitano e Adam non si dimenticano, perché il Capitano e Adam rimarranno scolpiti nel mio cuore, per sempre.
Vi starete chiedendo chi è Adam… beh, lui è il coprotagonista della storia e avremo modo di parlarne più avanti.
Prima però vorrei focalizzare l’attenzione su un’altra cosa.
1830: “Swing Riots” o rivolta dei contadini. Questo è un fatto realmente accaduto, certo è romanzato, ma le riflessioni che porta con sé sono tristemente attuali. Capitan Swing è una figura che rappresenta la giustizia, il sogno di un mondo equo, il sacrosanto diritto alla libertà e alla dignità della persona, e si contrappone invece alla figura del Comandante Cartwright (Adam, sì, ancora lui) che rappresenta invece l’ordine, la realtà, la legge necessaria affinché sia garantita l’incolumità di tutti noi.
«Che chiedono, in fondo?» domandò in tono ragionevole. «Solo pane. Devono essere deportati per questo?» «Non solo pane, giudice» puntualizzò Brightmore. «Chiedono un abbassamento delle rate della chiesa. Un abbassamento degli affitti. La distruzione delle macchine trebbiatrici. Anche i fattori cominciano a seguirli nelle loro rivendicazioni.»
…
No, non era il cosa, a essere sbagliato. Era il come. Nello stesso modo del fuoco utilizzato per le rivendicazioni, il come era incontrollabile. Anarchico. Distruttivo. In una parola, inaccettabile.
Pensateci un attimo, riconoscete qualcosa di familiare? Io sì. il motivo per cui questo romanzo mi rimarrà impresso per molto tempo è cha la Pennacchi riporta entrambi i punti di vista senza condannare od osannare. Ci costringe a farci un bell’esamino di coscienza e a comprendere (non condividere, badate bene, solo comprendere) entrambi i punti di vista. Come può l’uomo affamato essere condannato quando chiede i mezzi per sostentarsi da solo? Come possono i garanti dell’ordine difendere una parte di popolazione e l’altra no? Pensatela come volete, ognuno ha il suo punto di vista e di certo questo non è il luogo più appropriato per parlarne, ma pensate. Con la vostra testa!
Ritornando sui nostri binari, passiamo dunque ora all’analisi dell’intero romanzo.
La protagonista è Rebecca, una giovane donna, idealista e sognatrice, innamorata di un ragazzo, il quale, una volta diventato uomo, diventa il leader della rivolta dei contadini, Capitan Swing. È un amore che sboccia sin da bambini il loro e le vicissitudini che entrambi hanno passato li portano a prendere la decisione di scappare insieme, quando sarà vinta la rivolta.
A complicare il tutto, arriva il Comandante Adam Cartwright, l’uomo di legge, fatto di carne e boria. Ovviamente, per la posizione che occupa, non è di certo fra le amicizie che Rebecca si sarebbe mai augurata di incontrare. Sicuro di sé quel tanto che basta per apparire arrogante, forte quel tanto che tanto che basta per apparire crudele, gentile quel tanto che basta per apparire bugiardo e, infine, presente quel tanto che basta per, beh, per mettere in discussione tutto.
Il momento di fuggire con Capitan Swing arriva, ma da quale parte schierarsi? Dalla parte della ragione, che porterebbe Rebecca a rimanere fedele a se stessa e a scappare da un padre che utilizza catene invisibili per renderla schiava della vita che vive, oppure dalla parte del cuore? Quel cuore traditore che la costringe a ripensare a tutto quello che credeva di sapere e che credeva di volere?
Rebecca prende la sua decisione e, si sa, a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Anzi possiamo dirla anche così: passa dalla padella alla brace!
Un uomo viene tradito e la sua ira sarà implacabile; persino l’essere più buono, davanti al tradimento, può rivelarsi l’essere più pericoloso al mondo. Non è una cosa facile da accettare, soprattutto se si tiene in considerazione un assunto, ovvero:
L’amore può far fare grandi cose […].
L’amore può far fare grandi stronzate, papà.
L’amore, già… Come può sopravvivere l’amore quando viene meno la fiducia della persona che ha rapito il nostro cuore? Come possiamo sopravvivere noi stessi, quando è il nostro stesso mondo a crollare sotto ai piedi?
Ci si poteva sentire felici per un motivo, e una merda per lo stesso, fottutissimo motivo? Ferirla era un suo diritto, no, non un diritto cazzo, un dovere. Dannazione, non l’avrebbe mai ferita abbastanza. E se c’era una cosa che non andava era proprio quella – che non ci riusciva. Non fino in fondo.
Come si può, chiedevo? Beh, semplice. Se l’amore è quello vero, si può. Se l’amore è quello vero, si comprendono le azioni, se ne studiano le reazioni e si riaffida il nostro cuore in mano all’altro, chiedendo e implorando di non farne brandelli di nuovo.
E quali saranno le reazioni di Rebecca? Lei è una protagonista che ho amato sin dalla sua comparsa: coerente, fiera, leale. Utilizzo sempre la stessa formula: a ogni azione corrisponde una reazione. Ciò è vero, ma è altrettanto vero che bisogna innanzitutto comprendere cosa ha spinto l’individuo a compiere tale azione e poi bisogna anche valutare come questo si comporti dinanzi alle conseguenze. E Rebecca affronta tutto a testa alta, perché possiamo ingannare tutti, tradire tutti, ma non ciò in cui crediamo.
Rebecca aprì gli occhi, poi li sbatté, incredula. Nel riflesso dello specchio i segni dei colpi non c’erano più. Il suo viso non era pallido, le sue guance erano rosate come quelle di una bambina. Alcune ciocche le cadevano ai lati del viso occultando ogni livido. Quel riflesso era tutto ciò che lei non era. E un po’ di cipria per il cuore, Mary? Quella non c’è?
Soffre terribilmente, ma rimane fedele alla sua anima.
Mamma che fatica sto facendo per non farvi capire la sua scelta, anche perché mi sto facendo davvero del male. Amo alla follia il suo personaggio che è tutto e il contrario di tutto: l’intelligenza nel valutare le circostanze; l’amore furente che con la sua forza motrice porta avanti qualcosa in cui il cuore crede, ma il cervello rifiuta; la temperanza nel donare, anche se ciò che si ottiene non corrisponde neanche alla metà di ciò che si è donato (e qui mi verrebbe da dire: “Razza di testone! Non l’hai voluto vedere tu, ma lei il dono te lo ha fatto, eccome!”)
Concludo con la cosa che ho apprezzato di più: questo romanzo è un capolavoro assoluto a livello di contenuti, di forma, di spessore dei personaggi, ma soprattutto è un capolavoro per quanto riguarda la struttura. Ritmo a dir poco serrato, attenzione sempre alta, tensione che arriva a toccare il livello “aiuto, mi sta per venire un infarto”, e in certi momenti, attraverso l’utilizzo eccellente del corsivo e dell’alternanza tra discorso diretto e pensiero, vengono inserite delle paroline o intere frasi che ti fanno letteralmente morire dal ridere, non tanto per ciò che è scritto, quanto per il contesto in cui sono incluse.
«Hai sempre detto che ho il diritto di scegliere cosa fare della mia vita.» Rebecca smise di dibattersi, guardando l’uomo che era cresciuto insieme a lei. «Hai sempre detto che una donna ha il diritto di scegliere il proprio destino, e io…» Deglutì, abbassando il tono di voce. «E io voglio andare con lui, Paul. Io…» ti prego, Becky, dillo «…io lo amo.» […] la strinse di più. Nelle sue intenzioni doveva essere un abbraccio. La sua solita fortuna; Rebecca diceva di amarlo e lui doveva abbracciarla all’indietro.
Detto ciò, cosa posso aggiungere?
Mi rivolgo a te, Nina. Scrivi ancora, ti prego! Sono certa che non sono l’unica che brama un tuo nuovo romanzo, scrivi ancora, fallo per noi.
Recensione a cura di:
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