Nel XXV secolo la possibilità di digitalizzare la propria coscienza e trasferirla in un altro corpo è diventata realtà. È ciò che avviene a Takeshi Kovacs, un ex soldato che si ritrova suo malgrado in un corpo “nuovo” a Bay City – una metropoli in piena decadenza, in mano a politici arroganti e spacciatori di droghe sintetiche – per far luce su un omicidio. Le indagini lo trascinano nei meccanismi perversi di una società che ha snaturato il senso della vita e della morte, una società per cui gli individui sono solo pedine in un gioco condotto da chi si può permettere l’immortalità.
Tornare dalla morte può essere spiacevole.
Takeshi Kovacs è morto.
Innumerevoli volte, in innumerevoli corpi, su innumerevoli pianeti…
Ora si è risvegliato a Bay City, sul più antico dei mondi Umani, la Terra, ingaggiato, o per meglio dire affittato, da un uomo ricco e potente, Laurence Bancroft, per indagare sull’apparente suicidio di Bancroft stesso.
Nel XXV secolo l’uomo ha finalmente realizzato il sogno della vita eterna, trovando il modo di immagazzinare mente e coscienza in un supporto digitale che può essere trasferito a piacimento in qualunque custodia gli aggradi, preferibilmente corpi clonati potenziati geneticamente… questo ovviamente se si è ricchi. Altrimenti si può sperare di ricevere custodie di seconda mano, o alla meno peggio passare l’eternità in condomini virtuali… o rimanere “immagazzinati” per sempre.
In questo futuro ipertecnologico l’umanità ha ormai raggiunto e colonizzato le stelle, i dati viaggiano nello spazio a velocità maggiori di quella della luce, la bioingegneria ha reso obsoleto persino l’utilizzo dei robot e le IA si sono evolute sino all’emancipazione, e si è avuta la conferma di non essere stati l’unica forma di vita intelligente ad abitare l’universo. A conti fatti, però, nulla sembra cambiato nelle dinamiche che governano la società umana: il potere rimane ancora in mano ad un’élite ricca e spregiudicata.
«Lei viene da un altro mondo», commentò meditabondo Bancroft. «Una cultura coloniale giovane, esuberante. Non può avere idea di quanto secoli di tradizione ci abbiano forgiati qui sulla Terra. I giovani di spirito, gli avventurosi, sono partiti a stormi sulle astronavi. Sono stati incoraggiati ad andarsene. Sono rimasti i flemmatici, gli obbedienti, i limitati. L’ho visto accadere, e all’epoca ne sono stato felice perché rendeva molto più facile creare un impero. Adesso mi chiedo se sia valsa la pena pagare quel prezzo. La cultura è ricaduta su se stessa, si è aggrappata alle norme per tenersi in vita, ha optato per il vecchio e il familiare. Morale rigida, legge rigida. Le dichiarazioni delle NU si sono fossilizzate nella conformità globale, si è creata una…» Gesticolò. «Una specie di camicia di forza sovraculturale e, con la paura intrinseca di ciò che poteva venire dalle colonie, il Protettorato è nato quando le navi erano ancora in volo. Quando le prime hanno toccato il suolo, i passeggeri immagazzinati si sono svegliati sotto una tirannia programmata.»
Quella che Morgan ci descrive attraverso gli occhi di Kovacs è una società terrestre caotica e violenta, impregnata di sesso e droga, dove il reale e il virtuale si intrecciano senza soluzione di continuità. E in questo scenario, tipicamente cyberpunk, inserisce una vicenda dalle tinte noir, dove un protagonista che eroe non è viene chiamato, diciamo obbligato, a investigare su un crimine che forse non è mai avvenuto, scavando nei segreti più torbidi di quella parte di umanità che si considera superiore, in virtù di una vita che ormai si calcola in secoli.
Bancroft non è uno come lei e me. È un Mat.» «Un Mat?» «Già. Un Mat. Ha presente? E tutti i giorni di Matusalemme erano novecentosessantanove anni. È vecchio. Vecchio sul serio.» «È un crimine, tenente?» «Dovrebbe esserlo», rispose truce Ortega. «Se vivi per tanto tempo cominciano a succederti cose. Ti lasci prendere troppo da te stesso. Finisce che credi di essere Dio. All’improvviso, la piccola gente, le persone che hanno trenta, magari quarant’anni, non contano più. Hai visto intere società sorgere e cadere, e cominci ad avere la sensazione di essere al di fuori di tutto, e non te ne importa più niente. E magari ti metti a eliminare quella piccola gente, come raccogliessi margherite, se ti finisce sotto i piedi.»
[…]
Per un momento, gli occhi d’acciaio nero mi fissarono con tutta la forza dei tre secoli e mezzo di Bancroft, e fu come sostenere lo sguardo di un demone. In quel secondo emerse l’anima del Mat e io vidi riflessi in quegli occhi la miriade di piccole vite comuni che avevano visto morire, falene che sbattevano per un solo attimo contro la fiamma. […] Sentivo il calore sulle ali.
Takeshi Kovacs non è un eroe senza macchia, non ha una morale superiore a guidarlo, se non la sua personale idea di giusto e sbagliato. Vive la sua vita giorno per giorno, adattandosi alla situazione e all’ambiente che lo circonda, quasi assorbendolo. Questo perché è (o, meglio, era) uno Spedi, un soldato altamente specializzato e addestrato appositamente per intervenire in conflitti su mondi lontani anni luce, un’arma potente nelle mani del Protettorato delle NU che governa l’universo, un pericoloso criminale da tenere sotto ghiaccio dopo il congedo.
«Il punto non è questo, C…urtis.» Stavo per dargli del coglione. A quanto pareva, una parte di me voleva la zuffa. «Il punto è che siamo due specie diverse. Cosa ti hanno insegnato nei marine provinciali? Il combattimento corpo a corpo? Ventisette modi per uccidere un uomo con le mani? Sotto sotto, tu sei sempre un uomo, Curtis. Io sono uno Spedi. Non è la stessa cosa.»
[…]
«Allora ti dirò qualcosa io. Quando creano uno Spedi, vuoi sapere cosa fanno? Bruciano ogni istinto di limitazione della violenza che si sia evoluto nella psiche umana. Riconoscimento dei segnali di sottomissione, dinamica della gerarchia sociale, fedeltà al branco. Scompare tutto, neurone bruciato dopo neurone bruciato. E queste cose vengono sostituite dal desiderio cosciente di fare del male.» Lui mi fissava in silenzio. «Mi capisci? Per me sarebbe stato più facile ucciderti. Sarebbe stato più facile. Ho dovuto fermarmi. Ecco cos’è uno Spedi, Curtis. Un essere umano riassemblato. Un artificio.»
Questo ha fatto di lui un sopravvissuto, nel vero senso del termine, un uomo che ha visto quanto profondi siano gli abissi della violenza umana, e che ha spinto se stesso ai limiti di quella stessa violenza; un uomo la cui mente si è persa in mille frammenti di vite vissute in custodie sempre diverse, riuscendo comunque a mantenere una sorta di sanità mentale.
Guardai ancora fuori dal finestrino. Il taxi guizzava tra le cime di snelle, alte ciminiere, nei crepacci intasati di traffico tra l’una e l’altra. In me stava montando una furia antica che non aveva nulla a che fare coi miei problemi attuali. Qualcosa che si era accumulato negli anni trascorsi nel Corpo, fra i detriti emotivi che ti abitui a vedere, come limo sulla superficie dell’anima. Virginia Vidaura, Jimmy de Soto che muore tra le mie braccia a Innenin, Sarah… Il catalogo di un perdente, da qualunque punto di vista. Lo esclusi.
Ho trovato molto interessanti gli spunti di riflessione che l’idea di fondo, ovvero la possibilità di immagazzinare la coscienza umana in supporti digitali trasferibili, fa sorgere man mano che la storia si dipana, perché l’autore non porta avanti nessun giudizio morale intrinseco sull’idea in sé, ma ne mostra man mano le varie implicazioni e sfaccettature che ne derivano dall’applicazione pratica su di un’umanità meravigliosamente imperfetta e terribile.
La razza umana ha sognato di inferno e paradiso per millenni. Piacere o dolore infiniti, purissimi e non velati dalle limitazioni di vita o morte. Grazie alla formattazione virtuale, oggi queste fantasie possono esistere. Occorre solo un generatore elettrico di potenza industriale. Abbiamo creato l’inferno e il paradiso sulla terra.
La parte noir è sviluppata bene, con un’indagine complessa e ben costruita che ci porta man mano a una conclusione sorprendente, pur nella sua ovvietà, e che nel farlo ci trascina sì a toccare gli abissi della perversione e della violenza, ma ci mostra anche sprazzi di ciò che forse ci rende veramente umani: famiglia, amore, amicizia, compassione.
Come dicevo prima, Takeshi Kovacs non è un Eroe senza macchia e senza paura che si erge contro le ingiustizie del mondo, tutto ciò che fa lo fa per motivi strettamente personali, ma forse alla fin fine proprio per questo è l’eroe perfettamente imperfetto di cui l’umanità ha realmente bisogno.
Qualcuno avrebbe pagato per tutto quello. Mettila sul piano personale. Ma era più che personale. C’era dietro Louise, alias Anemone, tagliata a fette su un tavolo chirurgico; Elizabeth Elliott pugnalata a morte e troppo povera per potersi permettere una nuova custodia; Irene Elliott, in lacrime per il corpo che una dirigente d’azienda portava un mese sì e uno no; Victor Elliott, straziato tra la perdita della moglie e l’arrivo di qualcuno che era e non era la stessa donna. C’era dietro un giovane nero che ritrovava la famiglia nel corpo scalcinato di un bianco di mezza età; Virginia Vidaura che si avviava sdegnosa all’immagazzinamento, a testa alta, fumando un’ultima sigaretta per inquinare polmoni che avrebbe perso, rubati senza dubbio da qualche altro vampiro del mondo degli affari. C’era dietro Jimmy de Soto che si cavava gli occhi nel fuoco e nel fango di Innenin, e i milioni di altre persone come lui sparse nel Protettorato, contenitori di potenziale umano assemblati nel dolore e scaricati nel cesso della storia. Per tutto quello, e per altro, qualcuno avrebbe pagato.
Come potete notare non ho raccontato molto della vicenda, perché ritengo vada letta con mente libera da anticipazioni, immergendosi nelle sue atmosfere senza preconcetti, a mente libera.
In conclusione, un buon romanzo di fantascienza, nella sua accezione più cupa, con molti spunti di riflessione su pregi e difetti sia dell’umanità nel suo complesso che dell’uomo in quanto individuo.
«L’occhio umano è uno strumento meraviglioso. Con un minimo sforzo, può riuscire a non vedere anche le più fulgide ingiustizie.»
NOTA
Le prime edizioni italiane (2004 Nord, 2006 Tea) avevano il titolo BAY CITY.
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